Posts Tagged ‘lavoro’

Storie di ordinaria disoccupazione – 2

2 novembre 2023
Un amico una volta mi mandò una mail con scritto questo:

«L’ingiustizia divina è forse quella per cui ogni mattina mi alzo titubante e svogliato e mi dirigo al bagno pronunciando sempre le solite parole: “Non voglio lavorare“; mentre alla stessa ora, in un altro bagno, in un’altra casa, qualcuno si alza e demotivato e deluso dice: “Voglio trovare un lavoro, non ne posso più”».

«Dai più verrei considerato io un fortunato – sapete, il tempo, il contesto, la crisi – e non posso che condividere. Ma verrei considerato anche come un antipatico, ingrato, che non sa gioire delle sue fortune, una sorta di mangiapane a tradimento».

«Ma fate solo lavorare, che so – un annetto – l’altro anonimo lamentoso e vedrete che il mio lamento diverrà il suo».

«Ergo ne deduco che il lavoro è quella cosa con la quale e senza la quale tutto va molto male».

 
La cosa incredibile di questo ragionamento è che è indubitabilmente vero. 
Il tempo mette sempre tutto in prospettiva, per cui anche periodi brutti, rivisti ad anni di distanza, sembrano meno brutti. Per una sorta di spirito di autopreservazione, l’essere umano tende in modo naturale a ricordarsi maggiormente dei momenti belli.
 
Io, per esempio, adesso lavoro. Non è un lavoro che mi piace molto, anzi. Forse per questo ultimamente ripenso spesso a quando ero disoccupato e anche a quando facevo un lavoro che mi piaceva molto ma con cui guadagnavo ben poco.
 
Viene naturale fare certi ragionamenti.
Non è divertente avere problemi economici ogni santo mese. Razionare gli acquisti, fare la spesa per la settimana con i soldi contati, calcolare ogni centesimo pensando a cosa comprare e a cosa rinunciare. Prendo la pasta o il riso? Compro la pancetta per la carbonara oppure il formaggio? Quante verdure ci escono questa settimana?

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Storie di ordinaria disoccupazione

13 settembre 2023

job

Quando ero un giovane neolaureato o, come sarebbe più corretto dire, un giovane disoccupato mandavo offerte di lavoro a valanga. Difficile forse a credersi per la generazione Z, all’epoca si compravano dei giornali di carta per cercare lavoro.

Mandai una volta il CV a un’azienda (di cui non farò il nome) che vendeva mobili e mi mandarono a un corso di due giorni che si svolgeva in un hotel sul mare.

Il lavoro era quello del classico venditore a sistema piramidale: avrei venduto mobili (tramite contatti, amici, porta a porta) facendomi il culo e guadagnato una percentuale dalla vendita. Più mi sarei fatto il culo, più avrei guadagnato. Superata una certa soglia di vendite, avrei potuto scalare un gradino nella gerarchia e arruolare qualcuno sotto di me che si facesse il culo al posto mio, e guadagnare percentuali maggiori. Se avessi reclutato buoni venditori che si fossero fatti il culo al posto mio, a loro volta loro avrebbero potuto scalare un gradino nella gerarchia (e di conseguenza farlo scalare anche a me) e arruolare altri schiavi che si sarebbero fatti il culo e fatto guadagnare ancora più soldi sia a me che ai miei venditori. E così via.

Ero giovane e innocente. Ma non così giovane e innocente da non capire che questo sistema di vendita fosse una puttanata e alla lunga non sostenibile.

Tutta la due giorni di corso era impostata per impressionare noi giovani schiavi e venderci il sistema di impresa mostrandoci tutta la fuffa possibile immaginabile e farci sognare un futuro da ricchi business men. A cominciare dal posto scelto per il corso: un bell’hotel sul mare di una cittadina della riviera adriatica.

Ma non solo questo: tutte le scene a cui ho assistito erano attentamente studiate per fare effetto su dei giovani inesperti alla ricerca di un lavoro (e fregarli).

Per esempio.

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Il collega Lento

20 giugno 2022

Il Lento sopravvive in natura solo per alcune caratteristiche molto particolari.

Non per l´intelligenza, la prestanza fisica o la capacità di adattamento. Sopravvive in natura per la metodica e LENTA (ma precisa e senza alcuna fantasia) applicazione delle istruzioni che riceve”.

Anonimo ligure – Definizione del collega Lento che tutti abbiamo avuto almeno una volta nella vita.

(E se non lo hai mai avuto, allora il collega Lento sei tu)

Il lavoro etico

24 giugno 2021

Vivo all’estero. E capita spesso che amici e conoscenti mi chiedano se non abbia voglia di tornare in Italia, se non mi manchi l’Italia, e così via.

Certo che mi manca l’Italia, mi manca Pescara, mi mancano i miei amici e la mia famiglia, un ambiente in cui “mi sento a casa”, il mio habitat naturale. Tuttavia, non penso assolutamente a tornare indietro.

La ragione principale è che non mi piace lavorare. Vorrei essere ricco e poter non fare una mazza dalla mattina alla sera. O meglio, poter fare solo quello che voglio io, quando lo voglio io.

Purtroppo non sono ricco (ancora) e mi tocca lavorare. Ma se lo devo proprio fare, allora voglio almeno farlo nelle migliori condizioni possibili.

L’Italia è un posto dove, come dimostra ancora una volta il titolo del Corriere qui sopra, quella che dovrebbe essere la normalità è considerata un’eccezione. Un posto in cui ti pagano il giusto, ti danno un contratto regolare, ti pagano gli straordinari se lavori extra e – udite! udite! – ti concedono perfino il giorno di riposo, balza agli onori delle cronache come un fatto inusuale.

Ed è vero: è un fatto inusuale. Lo dico sia per esperienza personale che per quello che mi raccontano moltissimi dei miei amici ed ex colleghi.

Fortunatamente vivo in un posto dove i salari sono buoni*; dove mi pagano gli straordinari anche se lavorassi solo 15 minuti di più; dove ho un anno di disoccupazione senza troppe ansie e comunque riuscirei a trovare un nuovo lavoro nel giro di qualche mese se mi licenziassero (o mi licenziassi); dove non devo fare finta di lavorare mezzora in più per far vedere al mio capo che sono un bravo dipendente, ma basta che svolga i miei compiti lavorativi nel tempo prestabilito; dove se anche a 50 anni avessi voglia di rimettermi a studiare, lo Stato mi supporterebbe anche economicamente. E tanto altro che adesso non mi viene in mente.

L’Italia è un bellissimo Paese sotto molti, moltissimi aspetti. È per questo che ci torno molto volentieri, in vacanza.

*Una volta a un colloquio di lavoro, il futuro capo mi chiese quanto volevo per accettare il posto. Risposi con una cifra. Ottenni il lavoro e mi offrirono uno stipendio superiore a quello che avevo chiesto.

Rampini e lo smart working (che non si chiama “smart working”, poi)

6 agosto 2020

2015: due intellettuali italiani discutono sul futuro del mondo

Il giornalista Federico Rampini se la prende in Tv con lo smart working.

“Bisogna fare pulizia dei sabotatori della rinascita italiana – ha detto in diretta, spalleggiato dagli altri ospiti -. Andiamo a guardare cos’è stato il crollo della produttività dei lavoratori pubblici che si sono fatti a casa il lockdown con il cosiddetto smart working“.

Secondo Rampini questa gente si è fatta “le vacanze a casa, il lockdown è diventato un alibi per i lazzaroni”.

Le polemiche e le risposte piccate per gli insulti gratuiti contro chi lavora nella pubblica amministrazione non sono mancate.

Ma per me il punto non è tanto quello. La questione che va sottolineata è come, ancora una volta, la classe dirigente italiana si dimostri completamente fuori dal tempo, incapace di comprendere la realtà che la circonda e bloccata nelle sue convinzioni e schemi mentali antiquati e sorpassati.

Perché la società e il mondo del lavoro, senza che Rampini e i suoi accoliti se ne accorgano, si evolvono molto in fretta; e il telelavoro e lo smart working (che non sono proprio la stessa cosa) rappresentano in realtà un futuro molto più vicino di quello che si pensi.

Molti datori di lavoro in tutto il mondo lo stanno capendo.

Rampini no.

Aforismi/40

11 ottobre 2019

“Il lavoro fa cagare al cazzo.
Nobilita l’uomo idiota.
Quello non idiota si nobilita col tempo libero”.

Anonima pescarese, in un momento di frustrazione.

“Bullshit jobs”: fai anche tu un lavoro inutile?

2 luglio 2019

“Faccio anche io un lavoro del cazzo?”

È questa la prima domanda che ci si pone non appena si inizia la lettura del saggio “Bullshit Jobs” dell’antropologo statunitense David Graeber. Il libro, come dice il sottotitolo, tratta delle “professioni senza senso che rendono ricco e infelice chi le svolge e costituiscono il fondamento del nuovo capitalismo globale. In italiano potrebbero definirsi lavori del cavolo”.

A parte la pudicizia del sottotitolo (io parlerei proprio di “lavori del cazzo”, ma continuerò usando “cavolo” per rispetto nei confronti dell’editore), è un libro veramente interessante.

Offre molti spunti di riflessione a cominciare dalla questione primaria: cos’è un lavoro del cavolo? Dopo alcuni tentativi, Graeber arriva alla definizione finale: “Per lavoro senza senso si intende un’occupazione retribuita che è così totalmente inutile, superflua o dannosa che nemmeno chi la svolge può giustificarne l’esistenza, anche se si sente obbligato a far finta che non sia così”.

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La dittatura del lavoro

13 giugno 2019

A che punto siamo con “l’unione” nell’Unione Europea

9 ottobre 2018

Un piccolo articolo che ho scritto qualche settimana fa per la ONG Mistral, che si occupa di promuovere e rafforzare i diritti dei cittadini europei all’interno dell’UE.

Quattro interviste a quattro cittadini italiani che raccontano come trasferirsi da un Paese all’altro in Europa non sia così semplice e anche come la situazione in Svezia non sia tutta rose e fiori come alcuni in Italia credono.


Voices from EU citizens

Mistral has conducted interviews with four EU citizens. Here are their stories.
«I had problems with more or less all public agencies: with the Tax Office, with the Employment authority, even with the banks. Everywhere I went, I was never able to get full and complete information, it was always partial and sometimes also incorrect».
The story of Annamaria Vercellone, 58 years old from Vercelli, is similar to the one of many others European migrants, not only Italians: They move to Sweden convinced by the work opportunities the European Union offers, but they are faced with a reality that is very different from the one described in the medias and by the institutions. In practice what is a fundamental principle of the EU, the free movement of workers, is being hampered by government agencies that place many obstacles and limits to its application. Bureaucracy and lack of knowledge often come into the way of a correct application of the free movement of persons.

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Corollario n.1 alla “Riflessione sul lavoro”

23 novembre 2016

Dicesi “hobby“:

  • tutto quello che vorresti fare quando non hai tempo, perché purtroppo spendi tutto il tuo tempo per lavorare
  • tutto quello che comunque non fai quando hai tempo, perché purtroppo spendi tutto il tuo tempo per cercare un lavoro.

 

NB- Questa definizione è il corollario N.1 alla “Riflessione sul lavoro“.