Posts Tagged ‘lavoro’
6 agosto 2020

2015: due intellettuali italiani discutono sul futuro del mondo
Il giornalista Federico Rampini se la prende in Tv con lo smart working.
“Bisogna fare pulizia dei sabotatori della rinascita italiana – ha detto in diretta, spalleggiato dagli altri ospiti -. Andiamo a guardare cos’è stato il crollo della produttività dei lavoratori pubblici che si sono fatti a casa il lockdown con il cosiddetto smart working“.
Secondo Rampini questa gente si è fatta “le vacanze a casa, il lockdown è diventato un alibi per i lazzaroni”.
Le polemiche e le risposte piccate per gli insulti gratuiti contro chi lavora nella pubblica amministrazione non sono mancate.
Ma per me il punto non è tanto quello. La questione che va sottolineata è come, ancora una volta, la classe dirigente italiana si dimostri completamente fuori dal tempo, incapace di comprendere la realtà che la circonda e bloccata nelle sue convinzioni e schemi mentali antiquati e sorpassati.
Perché la società e il mondo del lavoro, senza che Rampini e i suoi accoliti se ne accorgano, si evolvono molto in fretta; e il telelavoro e lo smart working (che non sono proprio la stessa cosa) rappresentano in realtà un futuro molto più vicino di quello che si pensi.
Molti datori di lavoro in tutto il mondo lo stanno capendo.
Rampini no.
Tag:#rampinomics, elite, Federico Rampini, fuori dal tempo, giornali, giornalismo, intellettuali, italiani, lavoro, smart working, telelavoro, work from home
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2 luglio 2019
“Faccio anche io un lavoro del cazzo?”
È questa la prima domanda che ci si pone non appena si inizia la lettura del saggio “Bullshit Jobs” dell’antropologo statunitense David Graeber. Il libro, come dice il sottotitolo, tratta delle “professioni senza senso che rendono ricco e infelice chi le svolge e costituiscono il fondamento del nuovo capitalismo globale. In italiano potrebbero definirsi lavori del cavolo”.
A parte la pudicizia del sottotitolo (io parlerei proprio di “lavori del cazzo”, ma continuerò usando “cavolo” per rispetto nei confronti dell’editore), è un libro veramente interessante.
Offre molti spunti di riflessione a cominciare dalla questione primaria: cos’è un lavoro del cavolo? Dopo alcuni tentativi, Graeber arriva alla definizione finale: “Per lavoro senza senso si intende un’occupazione retribuita che è così totalmente inutile, superflua o dannosa che nemmeno chi la svolge può giustificarne l’esistenza, anche se si sente obbligato a far finta che non sia così”.
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Tag:antropologia, azienda, Bullshit Jobs, capitalismo, compiti lavorativi, datore di lavoro, David Graeber, dipendente, disoccupazione, lavorare sei ore, lavori del cazzo, lavori inutili, lavori senza senso, lavoro, leadership, mancanza di lavoro, mondo del lavoro, otto ore, Reddito di base incondizionato, retribuzione economica, sei ore, socialismo, società, sociologia, stipendio, UBI, Universal Basic Income
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9 ottobre 2018

Un piccolo articolo che ho scritto qualche settimana fa per la ONG Mistral, che si occupa di promuovere e rafforzare i diritti dei cittadini europei all’interno dell’UE.
Quattro interviste a quattro cittadini italiani che raccontano come trasferirsi da un Paese all’altro in Europa non sia così semplice e anche come la situazione in Svezia non sia tutta rose e fiori come alcuni in Italia credono.
Voices from EU citizens
Mistral has conducted interviews with four EU citizens. Here are their stories.
«I had problems with more or less all public agencies: with the Tax Office, with the Employment authority, even with the banks. Everywhere I went, I was never able to get full and complete information, it was always partial and sometimes also incorrect».
The story of Annamaria Vercellone, 58 years old from Vercelli, is similar to the one of many others European migrants, not only Italians: They move to Sweden convinced by the work opportunities the European Union offers, but they are faced with a reality that is very different from the one described in the medias and by the institutions. In practice what is a fundamental principle of the EU, the free movement of workers, is being hampered by government agencies that place many obstacles and limits to its application. Bureaucracy and lack of knowledge often come into the way of a correct application of the free movement of persons.
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Tag:Arbetsförmedlingen, cittadini europei, COmunità Europea, diritti, EU-citizen, Europa, immigrants, immigrazione in Svezia, integration, integrazione, lavoro, lavoro in Svezia, migrations problems, migratiosnverket, Mistral, personnummer in Svezia, problemi in Svezia, problems, Skatteverket, Stoccolma, Stockholm, Svezia, Sweden, Swedish welfare system, trovare lavoro, Ue, Unione europea, work abroad, work in Europe work in Sweden
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30 giugno 2016
Circa un mese e mezzo fa (quasi due a dire la verità. Lo so, sto trascurando il blog ultimamente) c’è stata una rovente polemica fra il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e il “mondo della scuola”/”mondo del lavoro”.
Il motivo della contestazione da parte dei due mondi, risiede nelle seguenti dichiarazioni del ministro rilasciate in seguito a una intervista:
L’Italia paga un’impostazione eccessivamente teorica del sistema d’istruzione, legata alle nostre radici classiche. Sapere non significa necessariamente saper fare. Per formare persone altamente qualificate come il mercato richiede è necessario imprimere un’impronta più pratica all’istruzione italiana, svincolandola dai limiti che possono derivare da un’impostazione classica e troppo teorica.
L’istruzione italiana è però quasi sempre il motivo per il quale gli studenti italiani trapiantati all’estero eccellono rispetto ai propri coetanei stranieri.
Certamente non dobbiamo rinnegare le radici classiche del sistema italiano, è però necessario stare al passo coi tempi e colmare la lacuna che ci divide dai Paesi competitivi. Il mercato richiede la formazione di personale flessibile e un’impostazione troppo teorica del sistema italiano rischia di essere d’intralcio.
A proposito della flessibilità: tale concetto viene in Italia considerato equivalente a quello di precariato. Si può dunque affermare che la flessibilità non sia sinonimo di malessere?
Sì. Flessibilità deve voler dire dinamismo e mobilità del lavoro e delle persone, anche se spesso viene tristemente associato alla precarietà. Con le riforme vogliamo introdurre una flessibilità virtuosa sia sociale che professionale.
In seguito alle polemiche il ministro ha smentito e precisato alcune dichiarazioni e l’intervista alla fine è stata perfino cancellata dall’Huffington Post (e qui stendo un velo davvero pietoso, sulla presunta libertà editoriale e giornalistica di un quotidiano online che cancella un’intervista su – presumo – spinta del ministero…). L’accusa è più o meno quella che, con la scusa di riformare il sistema scolastico, il Governo voglia far accettare agli italiani la precarietà lavorativa.
Arrivando al punto: sarò controcorrente, ma secondo me il ministro ha ragione.
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Tag:contestazione, disoccupazione, intervista, Istruzione, lavoro, precariato, riforma, scuola, Stage, Stefania Giannini, Svezia, università
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22 ottobre 2015
Scrive il New York Times:
WASHINGTON — The Army general in charge of the Pentagon’s failed $500 million program to train and equip Syrian rebels is leaving his job in the next few weeks, but is likely to be promoted and assigned a senior counterterrorism position here, American officials said on Monday.
Ovvero: Il generale dell’esercito a capo del fallito programma da 500 milioni di dollari per addestrare ed equipaggiare i ribelli siriani lascerà il proprio lavoro nelle prossime settimane, ma sarà probabilmente promosso e assegnato a una posizione di antiterrorismo qui [in America].
Notizia numero 1– Ulteriore ammissione ufficiale del fatto che esisteva un piano per addestrare e armare i ribelli (ma in fondo questo non fa quasi più notizia. O sì?);
Notizia numero 2– Il piano è costato ben 500 milioni di dollari. Cioè: in un Paese con 50 milioni di poveri, il Governo Usa si permette di spendere una vagonata di soldi solo per rovesciare un governante dall’altro lato della terra che non è allineato alle direttive americane… In un mondo normale questo provocherebbe un po’ di scandalo o – che so – almeno un po’ di indignazione. A quanto pare invece è tutto normale;
Notizia numero 3– Anche negli Stati Uniti la meritocrazia non funziona proprio bene;
Notizia numero 4– Cioè, davvero: 500 milioni di equipaggiamento e personale per addestrare degli assassini tagliagole?
Però… Bel lavoro Obama – Premio Nobel per la Pace 2009!
Segnalato da uno che segnala.
Tag:Bashar al Assad, contractor, finanziamenti americani, guerra civile, lavoro, meritocrazia, Nobel, Obama, pace, Putin, ribelli, Siria
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14 ottobre 2015
Come detto ieri, ricevo questo articolo di Repubblica da un amico: in Svezia vogliono introdurre le 6 ore lavorative giornaliere.
Siccome vivo in Svezia e non ne ho mai sentito parlare, ho voluto approfondire la questione.
Ebbene: è una grandissima vaccata!
In pratica tutto è nato da questo articolo pubblicato il 16 giugno 2015 dalla rivista svedese Chef, che pubblica un’intervista a Linus Feldt, un manager d’azienda che ha introdotto le sei ore invece delle classiche otto. L’articolo è stranamente diventato virale, girando su Facebook e gli altri social, e di click in click la cosa si è ingigantita. “Come il gioco dei sussurri all’orecchio, dove una frase detta all’inizio diventa alla fine qualcosa di completamente diverso”, spiegano i giornalisti svedesi in quest’altro pezzo (intitolato significativamente “L’articolo virale che ha dato inizio al mito delle sei ore lavorative”) stupiti dall’inatteso successo del pezzo.
Perché, oltretutto, quella di introdurre le sei ore lavorative è una questione che in Svezia circola da sempre e che ciclicamente viene riproposta da qualcuno (qui un articolo di quasi due anni fa, per esempio).
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Tag:articolo virale, Ezio Mauro, facebook, giornali, giornalismi, giornalismo, Huffington Post, Italia, lavorare sei ore, lavoro, Lucia Annunziata, notizia, otto ore, Repubblica, stampa, Svezia
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