di Alessandro Dal Lago per il manifesto
Il figlio di Gheddafi che viene catturato e poi ricompare baldanzoso nella notte. Tripoli che insorge, mentre invece la città è assalita da combattenti venuti da fuori. Festeggiamenti a Bengasi fatti passare per l’esultanza dei tripolini. Un regime dato per finito che dopo tre giorni continua a bombardare il centro della città. Inviati in elmetto che mettono in posa i combattenti per riprenderli. Dirette dalla battaglia in cui si vedono solo tetti e il fumo in lontananza…
Più che di «nebbia della guerra» si dovrebbe parlare di una guerra televisiva che ha ben poco a che fare con quello che succede, ma rientra in una strategia mediale mirata a confondere le acque sia agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, sia a quelli del regime di Tripoli. D’altronde si sa che al Jazeera è la voce dei regimi arabi moderati, a partire dal Quatar, molto attivo sul campo nell’assistenza (anche militare) ai ribelli libici, e che i conservatori inglesi hanno strettissimi rapporti con Murdoch, il padrone di Sky. Fatti i conti, è chiaro che gran parte dei media racconta una guerra immaginaria, mentre i loro sponsor, Cameron, Sarkozy e Obama incrociano le dita sperando che la guerra vera vada proprio come sperano.
Ma la guerra vera è tutt’altra cosa da quella raccontata in prima pagina.
Basta analizzare i servizi più meditati sulle pagine interne dei grandi quotidiani internazionali.
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