Posts Tagged ‘stampa’
1 ottobre 2019
Il proprietario, se non gli vai più a genio, ti caccia. È una realtà schifosa, ma questa è.
Siamo tutti liberi, certo. I giornalisti italiani sono i più liberi di attaccare l’asino dove vuole il padrone.
Vittorio Feltri – “Il Borghese”
Tag:carta stampata, editoria, giornalismo, giornalisti, Italia, Italian, journalism, libertà, stampa
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3 giugno 2018
Ho visto che molti giornali hanno fatto letteralmente le pulci a tutti i neo ministri, pubblicandone curriculum e idee, a volte evidenziando la dichiarazione fatta a margine di un convegno di anni prima oppure la participazione a tal manifestazione pro/contro qualcosa.
Benissimo! Questo dovrebbe essere il ruolo della stampa, cane da guardia del potere.
Mi sarebbe tuttavia piaciuto se fosse sempre stato così, anche nei decenni passati quando ci hanno propinato ministri senza alcuna qualifica, condannati o indagati per i crimini più vari, professionisti della poltrona e del cambio schieramento.
Tag:cinque stelle, giornalismo, giornalisti, governo, lega, ministri, salvini, stampa, watchdog
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14 ottobre 2015
Come detto ieri, ricevo questo articolo di Repubblica da un amico: in Svezia vogliono introdurre le 6 ore lavorative giornaliere.
Siccome vivo in Svezia e non ne ho mai sentito parlare, ho voluto approfondire la questione.
Ebbene: è una grandissima vaccata!
In pratica tutto è nato da questo articolo pubblicato il 16 giugno 2015 dalla rivista svedese Chef, che pubblica un’intervista a Linus Feldt, un manager d’azienda che ha introdotto le sei ore invece delle classiche otto. L’articolo è stranamente diventato virale, girando su Facebook e gli altri social, e di click in click la cosa si è ingigantita. “Come il gioco dei sussurri all’orecchio, dove una frase detta all’inizio diventa alla fine qualcosa di completamente diverso”, spiegano i giornalisti svedesi in quest’altro pezzo (intitolato significativamente “L’articolo virale che ha dato inizio al mito delle sei ore lavorative”) stupiti dall’inatteso successo del pezzo.
Perché, oltretutto, quella di introdurre le sei ore lavorative è una questione che in Svezia circola da sempre e che ciclicamente viene riproposta da qualcuno (qui un articolo di quasi due anni fa, per esempio).
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Tag:articolo virale, Ezio Mauro, facebook, giornali, giornalismi, giornalismo, Huffington Post, Italia, lavorare sei ore, lavoro, Lucia Annunziata, notizia, otto ore, Repubblica, stampa, Svezia
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31 marzo 2015
Si è concluso definitivamente (terzo grado di giudizio) il processo per l’omicidio di Meredith Kercher e sono stati assolti i due imputati Raffaele Sollecito e Amanda Knox. E su varia stampa, nei commenti di giornalisti, opinionisti e (non ultimo) dei parenti della vittima, c’è stato tutto un gran strepitare di “assenza di giustizia”, di “giustizia che fallisce“, di “vergogna per la giustizia italiana”, di “processo che non trova colpevoli”.
Prima di tutto, come fa ottimamente notare Luca Sofri sul suo blog, un processo non ha il dovere di trovare i colpevoli di un reato, ma di valutare se le persone accusate di quel reato dagli inquirenti siano o non siano colpevoli, che è una cosa ben diversa. Per dirla meglio: scopo di un processo “non è capire chi abbia compiuto un reato, ma decidere se chi ne è accusato lo abbia compiuto o no” (cit. Luca Sofri).
In generale poi, non ho mai capito bene perché se un giudice condanna gli imputati “vince la giustizia”, ma se invece li assolve “è una sconfitta per la giustizia”. In base a cosa? “In base alla quantità di bava che si forma alla bocca”, mi ha risposto ironicamente un amico. E mi sa che ha ragione però. Perché certe volte sembra che le parti in causa siano soddisfatte solo quando viene messo alla gogna e condannato qualcuno, indipendentemente dal fatto che sia colpevole o innocente.
Però un processo servirebbe anche a quello: ad assolvere qualcuno dalle accuse se queste sono infondate. E si chiama “giustizia” anche quella. Anzi, forse lo è ancora di più.
Tag:Amanda Knox, commenti, giornalisti, giudici, giustizia, Meredith Kercher, omicidio, processo, Raffaele Sollecito, stampa, vendetta
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10 marzo 2015
Ho scoperto che su Twitter, grazie soprattutto alla brava giornalista Marion Sarah Tuggey, spopola il tag #Rampinomics, dove in pratica si sputtanano tutte le volte che il corrispondente di Repubblica Federico Rampini si applica nella nuova arte del copia-incolla-traduci.
Come scrive Stefano Filippi sul Giornale:
Marion Sarah Tuggey ha sotto mano le stesse fonti di Rampini, cioè giornali e siti americani. E ha colto quelle che all’inizio sembravano suggestioni, analogie, imbeccate, e col tempo si sono rivelate riproduzioni. Sul suo profilo twitter @masaraht ha cominciato a segnalare l’inaspettato fenomeno con precisione filologica: citazione dell’originale con il link della fonte, e citazione della copia, cioè il sito internet di Repubblica con la firma di Rampini.
Io nel mio piccolo avevo già sputtanato questo orribile vizio dei giornalisti italiani in un post del dicembre 2010.
Tag:corrispondente, Federico Rampini, giornalismo, giornalisti, Marion Sarah Tuggey, Repubblica, stampa, Stefano FIlippi, twitter
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15 dicembre 2014
[…] Anche in questo caso la storia è assai misera. E non ha nulla della grandiosità tragica delle mafie. Le storie dei giornalisti italiani sono storie di Inpgi e Casagit, di pensioni che stanno per maturare, di piccoli privilegi di persone stanche e ciniche, che in gioventù hanno sognato il mestiere più gratificante del mondo e oggi attendono il prossimo invito al talk tv. Incrociate e riconosciute per strada, ma sempre più disintermediate, come si dice ora.
Di qui chiusure, frustrazioni, disperate difese di posizioni. E si fottano i giovani che sono dietro. Che magari sono pure bravi, ma non sanno e non possono aprire la guerra della rottamazione nelle redazioni che sono dei soviet, con direttori che restano imbalsamati per decenni, tra copie che crollano e colophon che crescono a dismisura per tenere a bada gli impazienti. Niente mafia, insomma, anche in questo caso. Il capitolo finale della storia dei giornali italiani è solo una piccola vicenda di privilegi, bollini e umanissime miserie.
Claudio Velardi per Il Foglio
Tag:Carlo Velardi, carta, crisi, giornalismi, giornalisti, Il Foglio, Mafia, quotidiani, stampa
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21 novembre 2013
Qual è il confine tra il diritto di un giornalista a dare le notizie e l’obbligo a non mettere in pericolo qualcuno rivelando attività segrete di governo?
Ne hanno parlato in un convegno alcuni giornalisti autorevoli prendendo spunto dallo scandalo “Datagate”, la vicenda che ha coinvolto Edward Snowden, l’ex funzionario della Nsa che ha svelato molte attività moralmente e legalmente discutibili dei servizi segreti americani.
Repubblica ha riportato uno stralcio di cosa si sono detti i professionisti dell’informazione. Molto interessante e condivisibile è quello che ha detto Sylvie Kauffmann, direttore editoriale di Le Monde:
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Tag:datagate, Edward Snoden, giornalismo, Le Monde, libertà di informazione, Los Angeles Times, Michael Parks, Nsa, Repubblica, Russia, stampa, Sylvie Kauffmann, Usa
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30 settembre 2013
Si torna a parlare sui media di crisi dei giornali. L’occasione è l’annuncio da parte della proprietà di Repubblica del prepensionamento di 80 giornalisti della testata. Si discute dell’argomento sui giornali solo perché riguarda i giornalisti stessi, che continuano nella pratica comune dell’autodifesa della categoria. Perché se un’altra azienda delle dimensioni simili a quelle della proprietà di Repubblica avesse messo in prepensionamento 80 persone (non licenziate, ma “prepensionamento”), come notizia avrebbe a malapena occupato le pagine della cronaca locale.
Invece c’è già chi si straccia le vesti.
Barbara Palombelli sulle pagine del Foglio si prodiga nell’ennesima squallida difesa della Casta, piagnucolando che “in silenzio, con dignità e dolore, una generazione intera – i nati dal 1952 al 1957 – lascerà il giornalismo attivo”. La Palombelli però non si fa nemmeno trapassare di striscio dall’idea che le “giovani” generazioni (che giovani non lo sono più, ormai) – ovvero quelli nati negli anni ’80 – non vedranno probabilmente né le pensioni né le prepensioni. E questo per errori ed orrori che proprio la sua generazione ha collezionato nei decenni.
La crisi dei giornali incombe: tutti si lamentano, tutti piangono miseria, alcuni chiedono aiuto (ancora?) allo Stato, qualcuno prova a reagire. Ma quasi nessuno dice la verità: ovvero che i giornali non vendono perché fanno schifo.
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Tag:Barbara Palombelli, carta stampata, Casta, Dagospia, editoria, futuro, giornali, giornalismi, giornalismo, new media, precariato, quotidiani, riviste, Roberto D'Agostino, stampa
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4 aprile 2013

“L’amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane, ha annunciato un piano triennale di ristrutturazione lacrime e sangue, ‘quel che la Merkel fa con il resto dell’Europa, per intenderci’: austerità pura, rigore nei conti, tagli drammatici. E il rilancio? Più avanti ci si penserà, forse…”.
Così scrive Paola Peduzzi per Il Foglio (che citerò varie volte nel corso del mio post).
La questione di cui si parla nell’articolo è che il gruppo Rcs, di cui il Corriere della Sera fa parte, deve fare dei drastici tagli per sopravvivere. Ma i giornalisti del Corrierone non ci stanno: “Nessun sacrificio, il quotidiano va bene. Se ci sono delle perdite in bilancio la colpa è degli altri”, strepita il Cdr (mostro multicefalo tipico dei giornali, sotto la cui sigla si cela il Comitato di redazione).
Ma non va bene proprio un cazzo, cari “colleghi” del Corriere.
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Tag:carta stampata, Casta, editoria, futuro, giornali, giornalismi, giornalismo, new media, precariato, quotidiani, riviste, stampa
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L’omicidio di Meredith Kercher
31 marzo 2015Si è concluso definitivamente (terzo grado di giudizio) il processo per l’omicidio di Meredith Kercher e sono stati assolti i due imputati Raffaele Sollecito e Amanda Knox. E su varia stampa, nei commenti di giornalisti, opinionisti e (non ultimo) dei parenti della vittima, c’è stato tutto un gran strepitare di “assenza di giustizia”, di “giustizia che fallisce“, di “vergogna per la giustizia italiana”, di “processo che non trova colpevoli”.
Prima di tutto, come fa ottimamente notare Luca Sofri sul suo blog, un processo non ha il dovere di trovare i colpevoli di un reato, ma di valutare se le persone accusate di quel reato dagli inquirenti siano o non siano colpevoli, che è una cosa ben diversa. Per dirla meglio: scopo di un processo “non è capire chi abbia compiuto un reato, ma decidere se chi ne è accusato lo abbia compiuto o no” (cit. Luca Sofri).
In generale poi, non ho mai capito bene perché se un giudice condanna gli imputati “vince la giustizia”, ma se invece li assolve “è una sconfitta per la giustizia”. In base a cosa? “In base alla quantità di bava che si forma alla bocca”, mi ha risposto ironicamente un amico. E mi sa che ha ragione però. Perché certe volte sembra che le parti in causa siano soddisfatte solo quando viene messo alla gogna e condannato qualcuno, indipendentemente dal fatto che sia colpevole o innocente.
Però un processo servirebbe anche a quello: ad assolvere qualcuno dalle accuse se queste sono infondate. E si chiama “giustizia” anche quella. Anzi, forse lo è ancora di più.
Tag:Amanda Knox, commenti, giornalisti, giudici, giustizia, Meredith Kercher, omicidio, processo, Raffaele Sollecito, stampa, vendetta
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