Si torna a parlare sui media di crisi dei giornali. L’occasione è l’annuncio da parte della proprietà di Repubblica del prepensionamento di 80 giornalisti della testata. Si discute dell’argomento sui giornali solo perché riguarda i giornalisti stessi, che continuano nella pratica comune dell’autodifesa della categoria. Perché se un’altra azienda delle dimensioni simili a quelle della proprietà di Repubblica avesse messo in prepensionamento 80 persone (non licenziate, ma “prepensionamento”), come notizia avrebbe a malapena occupato le pagine della cronaca locale.
Invece c’è già chi si straccia le vesti.
Barbara Palombelli sulle pagine del Foglio si prodiga nell’ennesima squallida difesa della Casta, piagnucolando che “in silenzio, con dignità e dolore, una generazione intera – i nati dal 1952 al 1957 – lascerà il giornalismo attivo”. La Palombelli però non si fa nemmeno trapassare di striscio dall’idea che le “giovani” generazioni (che giovani non lo sono più, ormai) – ovvero quelli nati negli anni ’80 – non vedranno probabilmente né le pensioni né le prepensioni. E questo per errori ed orrori che proprio la sua generazione ha collezionato nei decenni.
La crisi dei giornali incombe: tutti si lamentano, tutti piangono miseria, alcuni chiedono aiuto (ancora?) allo Stato, qualcuno prova a reagire. Ma quasi nessuno dice la verità: ovvero che i giornali non vendono perché fanno schifo.