Tommaso Campanella fu un importantissimo filosofo vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Non è molto conosciuto né studiato, eppure fu molto importante per la sua epoca.
Il suo lavoro più importante è probabilmente “La città del Sole“, un’opera che – sul solco della Repubblica di Platone e dei lavori di Hobbes e Tommaso Moro – descrive una ipotetica società ideale dove vige la comunione dei beni.
Il libro fu scritto in gran parte mentre era in galera. Perché la vita di Campanella, monaco domenicano a cui è stato perfino dedicato un asteroide, è molto particolare. Il buon Tommaso ha infatti avuto numerosi problemi con la giustizia, sia quella “secolare” (essendo stato accusato di aver organizzato tumulti popolari), sia quella religiosa.
Fu infatti processato più volte dall’Inquisizione per eresia (o accuse simili). L’ultimo processo fu il più cruento e definitivo: dopo essere stato tenuto per mesi in prigione o in custodia, per evitare la pena di morte non gli rimase che fingersi pazzo. Ma gli inquisitori erano tutt’altro che stupidi e non gli credettero. Volevano una confessione! E per ottenerla erano disposti a tutto. Fu sottoposto per diverse ore consecutive, in diversi giorni, alle torture più disparate. Ma Campanella resisteva, rispondendo alle domande degli inquisitori dicendo cose senza senso.
Il 5 giugno 1601, dopo 40 ore di tortura in cui il filosofo fu “trattato” in alternanza con il supplizio della corda e quello del cavalletto, fu infine creduto e dichiarato pazzo, quindi rilasciato.
Ma qui arriva il suo grande coup de théâtre. Mentre il torturatore lo riportava in cella, Campanella se ne uscì con una battuta sprezzante destinata a restare nella storia: “Che si pensavano che io era coglione, che voleva parlare?”
Il boia ovviamente riferì ciò che aveva sentito. Ma Campanella era ormai stato dichiarato ufficialmente pazzo e perciò era impossibile tornare indietro. Anche per la Sacra, Romana ed Universale Inquisizione del santo Offizio.
PS- Questa bellissima storia mi è stata raccontata ai tempi dell’università dalla professoressa Nicoletta Tirinnanzi. Feci un piccolo esame con lei e la ricordo con piacere. Era giovane, sui 40 anni, e piena di passione per la sua materia, la nostra materia. Amava la filosofia e quando questo avviene poi traspare, lo studente se ne accorge e tende ad assorbire meglio gli insegnamenti che vengono impartiti.
La professoressa Tirinnanzi è purtroppo morta esattamente quattro anni fa. Questo post è dedicato a lei.
L’omicidio di Meredith Kercher
31 marzo 2015Si è concluso definitivamente (terzo grado di giudizio) il processo per l’omicidio di Meredith Kercher e sono stati assolti i due imputati Raffaele Sollecito e Amanda Knox. E su varia stampa, nei commenti di giornalisti, opinionisti e (non ultimo) dei parenti della vittima, c’è stato tutto un gran strepitare di “assenza di giustizia”, di “giustizia che fallisce“, di “vergogna per la giustizia italiana”, di “processo che non trova colpevoli”.
Prima di tutto, come fa ottimamente notare Luca Sofri sul suo blog, un processo non ha il dovere di trovare i colpevoli di un reato, ma di valutare se le persone accusate di quel reato dagli inquirenti siano o non siano colpevoli, che è una cosa ben diversa. Per dirla meglio: scopo di un processo “non è capire chi abbia compiuto un reato, ma decidere se chi ne è accusato lo abbia compiuto o no” (cit. Luca Sofri).
In generale poi, non ho mai capito bene perché se un giudice condanna gli imputati “vince la giustizia”, ma se invece li assolve “è una sconfitta per la giustizia”. In base a cosa? “In base alla quantità di bava che si forma alla bocca”, mi ha risposto ironicamente un amico. E mi sa che ha ragione però. Perché certe volte sembra che le parti in causa siano soddisfatte solo quando viene messo alla gogna e condannato qualcuno, indipendentemente dal fatto che sia colpevole o innocente.
Però un processo servirebbe anche a quello: ad assolvere qualcuno dalle accuse se queste sono infondate. E si chiama “giustizia” anche quella. Anzi, forse lo è ancora di più.
Tag:Amanda Knox, commenti, giornalisti, giudici, giustizia, Meredith Kercher, omicidio, processo, Raffaele Sollecito, stampa, vendetta
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