Posts Tagged ‘giornalismi’

Una serata particolare

27 giugno 2022

È morto Sergio Polano.

Wikipedia lo definisce “storico dell’architettura e accademico”.

Passai una serata con lui più di dieci anni fa; aveva scritto un articolo per il giornale di cui ero redattore, e passò la serata in trasferta a Torino con me e i miei due colleghi Edoardo e Matteo.

Fu una serata folle. Lui aveva sessanta anni e noi 30 o giù di lì. Ma il ragazzo sembrava lui. Noi arrancavamo dietro ai suoi ritmi: aperitivo, drink, cena, altri drink, chiacchiere con sconosciuti e sconosciute, altri drink.

Era un autentico mattatore: ci tenne tutta la sera con racconti, aneddoti pazzeschi e storie che si facevano fatica a credere. Tornai a casa quasi all’alba completamente sfatto, mentre lui avrebbe potuto continuare per un altro paio d’ore.

Lui era un collaboratore e una persona piuttosto nota nell’ambiente da cui proveniva. Noi eravamo dei giovani redattori alle prime armi. Eppure lui scelse di passare la serata con noi, non con i nostri capi o con altri ospiti importanti di quella sera. Dimostrò di essere umile e alla mano, e di capire l’enorme lavoro che  facevamo anche se i nostri stessi capi spesso non lo riconoscevano.

Un grande. Invidio un po’ quelli che ci hanno potuto trascorrere più tempo insieme.

La dolce vita

16 gennaio 2022

“Io sono troppo serio per essere un dilettante, ma non abbastanza per diventare un professionista”.

Enrico Steiner – La dolce vita

Gli analista di sta cippa

10 novembre 2016

Come faccio a non vantarmi del fatto che avevo ragione? E infatti lo faccio.

La cosa bellissima però è che anche Pigi Battista mi dia ragione in pieno. Sembra quasi che abbia letto il mio blog (magari lo fa per davvero).

Non ho e non mai avuto una grande stima per lui, ma devo dargli atto di essere uno dei pochi giornalisti italiani che adesso ha avuto il coraggio di fare autocritica.

Il commento alle elezioni americane comincia con una bella presa di coscienza:

[…] Non era prevedibile una tale concentrazione di sondaggi farlocchi, di previsioni fallaci, di analisi sballate, di certezze finite in frantumi, di ironie controproducenti, di teoremi infondati, di desideri scambiati per realtà. Risultato straordinario di strafalcioni e deduzioni semplicistiche. Si era detto. Meglio: avevano detto. Meglio ancora: avevamo detto, tutti noi dei giornali e dei media.

E continua poi con l’auto “j’accuse”. Un “je m’accuse”, si potrebbe chiamare:

Non ne hanno, non ne abbiamo azzeccata uno, sulle donne, sui neri, sui latinos, sui repubblicani dissidenti, eppure ci si stupisce, come se la realtà avesse fatto un dispetto agli «analisti» — non adeguandosi alle loro ingiunzioni e alle loro previsioni. Analisi. O meglio: tifo. Tifo accecante, almeno stavolta.

Battista è poi d’accordo con me anche riguardo “gli analisti”, quelli che io senza mezzi termini avevo definito “le élite americane e italiane che hanno in comune il fatto di aver perso completamente contatto con la realtà della gente comune”.

Gli «analisti». E cioè, chi sarebbero, che titoli hanno, dove si è formata la loro sicumera: nelle aule universitarie, o nelle cattedre del sentito dire, o in qualche bistrot con un bicchierino come ausilio per la dissertazione chic? E le fonti degli «analisti» dove si trovano? Difficile da dire. Però facile da immaginare che siano persone che frequentano gli stessi ambienti, hanno gli stessi tic, parlano lo stesso linguaggio. E che perciò sono incapaci di captare il linguaggio di chi sta fuori, di chi sta lontano e che dunque vota in modo bizzarro e imprevedibile.

Per una volta: chapeau a Pigi Battista.

Editori, redattori e direttori. Ovvero: i deliri di chi comanda nei giornali

27 settembre 2016

Qualche anno fa mi trovavo a lavorare per un giornale (non dirò il nome così sarà impossibile risalire all’identità delle persone che saranno citate in questa storia) dove mi succedevano delle cose bislacche. Di giornali ne ho girati tanti, ma quello che accadeva in quella redazione è difficile da spiegare. Anzi, è proprio impossibile se non si è vissuto in prima persona.

Preso dalla “nostalgia”, mi sono andato a rileggere alcuni vecchi scambi di comunicazioni interne e mi sono imbattuto in una mail del direttore che è assolutamente folle. E’ una mail che, a mio avviso, mostra uno dei motivi per cui i giornali italiani vanno male: sono diretti da gente spesso fuori dal tempo chiusa nel guscio delle proprie convinzioni.

La mail comincia così: (more…)

Bruno Vespa VS Riina VS tutti

10 aprile 2016

Bruno Vespa ha ospitato e intervistato il figlio del boss mafioso Totò Riina nella sua trasmissione “Porta a porta”. A seguito del fatto (ma anche prima, a dir la verità) sono fioccate critiche e polemiche da ogni dove, soprattutto dal mondo della politica, ma anche dagli ambienti del giornalismo.

Lasciatemi dire la mia, molto modestamente e anche in ritardo.

Bruno Vespa ha fatto benissimo a intervistare Salvo Riina. Intervistare il figlio di uno dei più grandi boss della storia è un’occasione unica per un giornalista e per il giornalismo in generale.

Il problema però non è nel fatto se sia stato giusto o sbagliato realizzare la trasmissione. Il problema vero è che non c’è stata alcuna “intervista”, non ci sono state domande. Non domande “vere”, quantomeno.

Ecco, tutta la questione potrebbe essere riassunta perfettamente con le parole che Francesco Merlo ha scritto su Repubblica:

[…] E’ sovietica l’idea che la trasmissione dovesse essere bloccata e sostituita con una bella replica di Montalbano.

Da che mondo è mondo infatti il giornalismo intervista i cattivi, i malfattori, i malavitosi e racconta anche le mani insanguinate, i peggiori dittatori, i criminali più efferati. Certo, ci vuole la distanza che Vespa non ha, e bisogna fare le domande vere, incalzare, persino irridere. E senza bisogno di essere mafiologi. Ecco, regaliamo al collega Vespa qualche esempio, qualche frase diretta: «Ma perché fai lo scemo e fingi di non sapere cos’è la mafia»?

O ancora: «Quanti anni hai, dove hai vissuto sino adesso, non sai che tuo padre ordinava di sciogliere i corpi nell’acido?». Di più: «Ma non capisci il destino che hai davanti, non ti rendi conto che le malefatte di tuo papà condannano per sempre anche te? Perché non reagisci? Ma di quale bene parli?».

Lavorare 6 ore al giorno: la verifica delle fonti (parte 2 di 2)

14 ottobre 2015

Come detto ieri, ricevo questo articolo di Repubblica da un amico: in Svezia vogliono introdurre le 6 ore lavorative giornaliere.

Siccome vivo in Svezia e non ne ho mai sentito parlare, ho voluto approfondire la questione.

Ebbene: è una grandissima vaccata!

In pratica tutto è nato da questo articolo pubblicato il 16 giugno 2015 dalla rivista svedese Chef, che pubblica un’intervista a Linus Feldt, un manager d’azienda che ha introdotto le sei ore invece delle classiche otto. L’articolo è stranamente diventato virale, girando su Facebook e gli altri social, e di click in click la cosa si è ingigantita. “Come il gioco dei sussurri all’orecchio, dove una frase detta all’inizio diventa alla fine qualcosa di completamente diverso”, spiegano i giornalisti svedesi in quest’altro pezzo (intitolato significativamente “L’articolo virale che ha dato inizio al mito delle sei ore lavorative”) stupiti dall’inatteso successo del pezzo.

Perché, oltretutto, quella di introdurre le sei ore lavorative è una questione che in Svezia circola da sempre e che ciclicamente viene riproposta da qualcuno (qui un articolo di quasi due anni fa, per esempio).

(more…)

Editoria in crisi

14 febbraio 2015

A proposito di quello che dicevo un po’ di tempo fa… e che a quanto pare non sono l’unico a pensare:

paolo madron

La (ridicola) mafietta di carta

15 dicembre 2014

[…] Anche in questo caso la storia è assai misera. E non ha nulla della grandiosità tragica delle mafie. Le storie dei giornalisti italiani sono storie di Inpgi e Casagit, di pensioni che stanno per maturare, di piccoli privilegi di persone stanche e ciniche, che in gioventù hanno sognato il mestiere più gratificante del mondo e oggi attendono il prossimo invito al talk tv. Incrociate e riconosciute per strada, ma sempre più disintermediate, come si dice ora.

Di qui chiusure, frustrazioni, disperate difese di posizioni. E si fottano i giovani che sono dietro. Che magari sono pure bravi, ma non sanno e non possono aprire la guerra della rottamazione nelle redazioni che sono dei soviet, con direttori che restano imbalsamati per decenni, tra copie che crollano e colophon che crescono a dismisura per tenere a bada gli impazienti. Niente mafia, insomma, anche in questo caso. Il capitolo finale della storia dei giornali italiani è solo una piccola vicenda di privilegi, bollini e umanissime miserie.

Claudio Velardi per Il Foglio

Giornalismo scomodo

27 ottobre 2014

Su Diva e Donna un imperdibile articolo di Susanna Schimperna sullo scroto.

Clicca per ingrandire e leggere

Clicca per ingrandire e leggere

Segnalato da ANO.

Papa Francesco: “Basta uccidere, per Dio!”

22 settembre 2014

Ma forse manca una virgola…

Gazzetta dell sport - 22-09-2014

Gazzetta dell sport – 22-09-2014