A proposito di quello che dicevo un po’ di tempo fa… e che a quanto pare non sono l’unico a pensare:
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Editoria in crisi
14 febbraio 2015Il pluralismo dei giornali
4 novembre 2014Un club, quello degli articoli 1 dei giornali, fatto in larga misura – non tutti, non è il caso di generalizzare, ma tanti sì – da gente che non lavora. Da signori con un’altissima opinione di sé, che fanno male o malissimo il loro dovere – quella roba lì che costa un sacco di fatica e sbattimento: cercare notizie – e considera i suoi rari e scadenti (e strapagati) prodotti, gentili concessioni ai lettori delle verità rivelate ai loro intelletti superiori. Che considerano dunque i soldi che ricevono sotto forma di stipendio, la dovuta tutela dell’esistenza di cotanto valore intellettuale per la nazione, che guai a ridurlo a una mera questione di paga per prestazione lavorativa. Il pluralismo “è”, e non può essere ridotto a una volgare questione di soldi.
Tratto da: Il pluralismo delle rendite (giornalistiche)
Parlamento
22 aprile 2013“Prima era la società a non conoscere cosa avveniva nel Palazzo, ora è il Palazzo a non sapere cosa si muove nel profondo della società”.
Adriano Prosperi (citato da Marco Damilano)
La verità che nessuno scrive sulla Casta dei giornali
4 aprile 2013“L’amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane, ha annunciato un piano triennale di ristrutturazione lacrime e sangue, ‘quel che la Merkel fa con il resto dell’Europa, per intenderci’: austerità pura, rigore nei conti, tagli drammatici. E il rilancio? Più avanti ci si penserà, forse…”.
Così scrive Paola Peduzzi per Il Foglio (che citerò varie volte nel corso del mio post).
La questione di cui si parla nell’articolo è che il gruppo Rcs, di cui il Corriere della Sera fa parte, deve fare dei drastici tagli per sopravvivere. Ma i giornalisti del Corrierone non ci stanno: “Nessun sacrificio, il quotidiano va bene. Se ci sono delle perdite in bilancio la colpa è degli altri”, strepita il Cdr (mostro multicefalo tipico dei giornali, sotto la cui sigla si cela il Comitato di redazione).
Ma non va bene proprio un cazzo, cari “colleghi” del Corriere.