[…] Anche in questo caso la storia è assai misera. E non ha nulla della grandiosità tragica delle mafie. Le storie dei giornalisti italiani sono storie di Inpgi e Casagit, di pensioni che stanno per maturare, di piccoli privilegi di persone stanche e ciniche, che in gioventù hanno sognato il mestiere più gratificante del mondo e oggi attendono il prossimo invito al talk tv. Incrociate e riconosciute per strada, ma sempre più disintermediate, come si dice ora.
Di qui chiusure, frustrazioni, disperate difese di posizioni. E si fottano i giovani che sono dietro. Che magari sono pure bravi, ma non sanno e non possono aprire la guerra della rottamazione nelle redazioni che sono dei soviet, con direttori che restano imbalsamati per decenni, tra copie che crollano e colophon che crescono a dismisura per tenere a bada gli impazienti. Niente mafia, insomma, anche in questo caso. Il capitolo finale della storia dei giornali italiani è solo una piccola vicenda di privilegi, bollini e umanissime miserie.
Claudio Velardi per Il Foglio