Qualche giorno fa sono tornato a L’Aquila. Erano un paio di anni che non ci andavo ed è stato interessante constatare di persona come procedeva la situazione.
Seppur lentamente, la ricostruzione è partita: le macerie stanno pian piano sparendo dal centro. Ma non è abbastanza. Sono passati quattro anni e tre mesi, ed esiste ancora una zona rossa inaccessibile e con i militari a presidio. Camminando in mezzo ai palazzi sventrati dal sisma, quello che ho notato rispetto all’ultima volta è una maggiore vitalità della città. Non fosse altro che per i lavori in corso, ho avuto l’impressione che L’Aquila non sia più abbandonata a se stessa. Certo, camminare per le vie del centro continua a essere doloroso e angosciante: le case sono vuote, i portoni dei palazzi aperti alla mercé di tutti, i negozi chiusi e vuoti, gli edifici puntellati.
Sono poi stato ad Onna, la frazione che più di ogni altra ha patito il sisma: 41 morti su circa 350 abitanti; 80% delle case distrutte, il restante 20 inagibile. Qui il Governo ha praticamente ricostruito una nuova città accanto a quella distrutta. A cento metri di distanza dal vecchio paese (forse anche meno) c’è il nuovo villaggio costruito su progetto della Provincia Autonoma di Trento e realizzato con i soldi donati dalla Croce Rossa. Sono i cosiddetti Map (Moduli abitativi provvisori) realizzati su un terreno privato, che adesso il Comune vuole espropriare al proprietario.
L’effetto che si prova è quello di camminare per uno di quei paesi americani costruiti dal nulla nel deserto: una sensazione di finto, di fittizio, di irreale. Da Truman Show.
Il mio presentimento viene confermato dalle persone del luogo. La prima cosa che risalta e che colpisce parlando con gli onnesi è l’infinita tristezza che questi trasmettono involontariamente. È gente che ha perso la casa, un luogo dove magari sono nati e vissuti per tutta la vita. Non solo: ogni mattina loro si alzano dal letto e dalla finestra vedono il loro vecchio paese lì, dall’altro lato della strada, dove hanno perso per sempre un fratello, una moglie, un marito, un figlio, un parente, un amico. In una comunità così piccola tutti hanno avuto almeno un lutto.
I lavori a Onna sono completamente fermi. L’unica cosa che è partita è la ristrutturazione della chiesa. Peccato che una chiesa senza paese non serva a nulla. All’inizio si diceva che la ricostruzione sarebbe stata più veloce per le frazioni e molto più lenta per il centro, anche a causa dei palazzi storici. Si inizia a capire che non sarà così.
La situazione è anche peggiore in altre zone della città. Per esempio a Preturo o Coppito. In queste zone infatti a rendere ancora più dura la vita di ogni giorno è la solitudine. Mentre a Onna la gente continua a vivere nella stesso posto, nelle periferie dell’Aquila sono stati sparpagliati molti di quelli che abitavano in centro. Ne consegue che rapporti umani, di amicizia e di convivenza sono stati bruscamente interrotti. È difficile vedersi quotidianamente per due vicini di casa quando adesso sono costretti a vivere in parti opposte della città (e capita spesso).
Il tessuto sociale dell’Aquila è stato selvaggiamente distrutto. E questa forse è una conseguenza anche peggiore dell’avere avuto la casa crollata.
Molte altre cose si potrebbero scrivere, ma sarebbe inutile: bisogna andare, vedere e parlare con la gente per capire.

Onna – Accanto alle case crollate, hanno costruito dei nuovi edifici per mostrare che la vita continua e il paese non è morto col terremoto. Ma l’impressione è quella di aver innalzato cattedrali nel deserto

La nuova Onna – I Map, Moduli abitativi “provvisori”, avrebbero dovuto avere una durata di 3 anni. Ne sono già passati oltre 4….
Tag: 6 aprile, Coppito, L'Aquila, Onna, Preturo, ricostruzione, sisma, terremoto, zona rossa
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