Sui giornali domani, 25 gennaio, ci sarà la solita fiera delle banalità. A dieci anni dalla morte dell’avvocato Gianni Agnelli, oggi si è celebrata una giornata in ricordo di un uomo che, nel bene e nel male, ha segnato la vita di Torino.
Quello che però nessuno scriverà è che la partecipazione è stata massiccia per quanto riguarda il jet set, l’alta finanza e la politica. Ma assolutamente non significativa della gente comune. Altro che “Torino ricorda l’avvocato”, come ha scritto qualcuno.
Alcune agenzie hanno scritto che dietro le transenne fuori dal Duomo cittadino erano “almeno un migliaio”. La Stampa è anche andata oltre (ma d’altronde, poteva fare altrimenti?).
Purtroppo non ho fatto foto, ma posso assicurare che fuori dalla chiesa a vedere la funzione sul maxischermo saranno state in realtà circa duecento o trecento persone, giù di lì. In compenso, grazie ai parrucconi presenti all’interno del Duomo, ci saranno stati oltre 500 agenti a sorvegliare ogni via nell’area di circa un chilometro quadrato: un dispiegamento di forze che manco in tempi di rivoluzione.
Ma il punto è che i torinesi sono rimasti a casa. La situazione è stata descritta perfettamente da questo blogger:
Torino, alla commemorazione, non ha partecipato. La “Torino che conta”, quella che ha distrutto la città e l’ha privata di un futuro, era rinchiusa dentro un Duomo blindato e protetto da ingenti schieramenti di polizia. Fuori, al di là delle transenne, doveva sistemarsi il popolo. Di fonte ad un maxischermo. Sono arrivate poche centinaia di persone. Poco più di quelle che riuscirebbe ad attirare un comizio di Fini. Ed è tutto dire. Le folle immense che, 10 anni fa, avevano aspettato ore per rendere l’ultimo saluto al signore del jet set, non si son viste. Travolte dalla crisi, hanno capito di essere state prese in giro dai media locali. Hanno capito che Gianni Agnelli era un bluff, che i suoi successori se ne fregano della città e dei lavoratori. Hanno capito che le buffonate di Fassino sulla ripresa di Torino non hanno alcun rapporto con la realtà. E sono rimasti a casa. A fare i conti con la crisi disastrosa provocata dal grigiocrate Monti che, guarda la combinazione, è stato nel consiglio d’amministrazione della Fiat. A fare i conti con le decine di migliaia di posti di lavoro distrutti dall’Avvocato e dai suo manutengoli. A fare i conti con la disoccupazione, con la povertà. Mentre loro, gli oligarchi, fingevano di pregare in Duomo e si limitavano a passare in rassegna presenze ed assenze.
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26 gennaio 2013 alle 14:21 |
corrotto pagato da Massimo Moratti e Aurelio De Laurentiis!!!!